Art.1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

martedì 24 gennaio 2012

RICORSO PER LA CORRESPONSIONE DELLA MAGGIORAZIONE STIPENDIALE BIENNALE

La dignità del lavoro ed il rispetto per i lavoratori appartengono alla nostra storia recente e passata.
Una seria organizzazione sindacale si fa carico delle questioni che appartengono ai lavoratori attraverso attraverso la pratica quotidiana fatta di concreto impegno di rappresentanza, di contrattazione, di solidarietà ed un'azione di tutela finalizzata a difendere, affermare e conquistare diritti individuali e collettivi, dal welfare ai diritti sul posto di lavoro.

La storia del SILP CGIL, dal 1999, e prima ancora come componente protagonista del sindacato unitario, è strettamente intrecciata alla storia del Paese ed al movimento di sindacalizzazione della polizia che, con l'enorme sacrifico degli uomini che vi hanno creduto, ha ottenuto la storica riforma del 1981.

La pratica strumentale dei ricorsi a fini di proselitismo non appartiene alla cultura e ai valori della nostra organizzazione sindacale né di quella a cui facciamo riferimento, la CGIL, che da più di 100 anni svolge un importante ruolo di protezione del lavoro.


Il ricorso intentato per la corresponsione dei benefici demografici consistenti nella maggiorazione stipendiale biennale è stato respinto dal Consiglio di Stato secondo quelle che erano state le nostre previsioni.

Chi sta accanto ai lavoratori si riconosce per la coerenza e per il rispetto che dimostra attraverso un impegno serio in loro favore. Coloro che ci hanno sollecitati per sapere il nostro parere su questo annuale "ricorso di ottobre" ne sono consapevoli.

Per noi del SILP CGIL i numeri vengono dopo i nomi. I numeri misurano l'impegno e la fatica sindacale quotidiana. I nomi sono le persone, i lavoratori, le loro famiglie, i loro diritti.

Segretario Generale Regionale
Nicola Rossiello

lunedì 23 gennaio 2012

SILP CGIL INCONTRA IL MINISTRO DELL'INTERNO

La Segreteria Nazionale del SILP per la CGIL, in data 17 gennaio 2012, ha incontrato il Ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. Ecco il comunicato diramato successivamente all’incontro: - Come noto, a seguito delle pressioni esercitate dal SILP, mirate a determinare un incontro tra il Ministro dell'Interno e le OO.SS., per confrontarsi sulle questioni relative alle difficoltà connesse ai tagli di bilancio, alla tutela della specificità in sede di regolamento previsto dalla manovra in materia di previdenza per gli operatori del comparto, e sul ritardo nell'attuazione del decreto perequativo, si è tenuta, in data 17 gennaio 2012, presso il Dipartimento della P.S., la programmata riunione alla presenza del Ministro Annamaria Cancellieri. Erano presenti all’incontro, il Capo della Polizia Antonio Manganelli, il Vice Capo della Polizia Paola Basilone, il Vice Capo di Gabinetto del Ministro Vincenzo Cardellicchio, il Direttore delle Relazioni Sindacali del Dipartimento Castrese De Rosa. Nel corso del suo intervento il SILP ha rappresentato al Ministro l’esigenza impellente tesa ad affrontare talune questioni, la cui mancata risoluzione, è fonte di accresciuto disagio e di preoccupazione da parte del personale della Polizia di Stato. Sul versante delle attività di sicurezza il SILP ha evidenziato che, allo stato attuale, non si coglie un progetto del governo volto a ridurre i danni arrecati dai pesanti tagli lineari operati dal precedente esecutivo. In merito al recente provvedimento “svuota carceri” la nostra O.S. ha sottolineato che, mentre si prevede la chiusura di uffici operativi e tecnicoscientifici sul territorio, a causa di un insopportabile deficit in organico di 11.500 unità per la sola Polizia di Stato, il Ministero dell’Interno si assume l’onere di una ulteriore funzione relativa alla custodia degli arrestati in attesa di giudizio per direttissima. Il SILP ha inoltre stigmatizzato la preoccupante scelta, operata con la “manovra finanziaria ter”, di affidare ai soli Ministri del Lavoro e dell’Economia, la predisposizione del regolamento di armonizzazione per i requisiti di accesso alla pensione da parte del personale del Comparto Sicurezza e Difesa. Sulla questione, preso atto della nostra specificità, abbiamo chiesto che il Ministero dell’Interno svolga un ruolo attivo, e non di semplice spettatore, avviando un confronto preliminare con tutte le OO.SS. In tale contesto è quanto mai indispensabile dare immediato avvio al confronto per l’attuazione della previdenza complementare.

martedì 17 gennaio 2012

Pubblicazione graduatoria per l’assegnazione di n. 58 alloggi di edilizia sovvenzionata nel Comune di Torino, via Gaidano.

Il 13 gennaio 2012 è stata approvata la graduatoria per l'assegnazione di n. 58 alloggi di edilizia sovvenzionata nel Comune di Torino, in via Gaidano.

Eventuali ricorsi potranno essere inoltrati alla Prefettura - Servizio I - Piazza Castello 201 - 10100 Torino entro e non oltre il 17 febbraio 2012.

La verifica della correttezza del procedimento amministrativo potrà essere agito dagli interessati con le procedure previste dalla legge 241/90. 

Il nostro settore legale è a disposizione per eventuali consulenze e approfondimenti.

La graduatoria è consultabile al seguente link della Prefettura di Torino:


giovedì 12 gennaio 2012

"I salari continuano a perdere valore"

Pubblichiamo un interessante articolo di Riccardo Sanna del Dipartimento politiche economiche della CGIL per il quale senza la crescita del reddito da lavoro dipendente non si rilanciano i consumi.


La crisi che stiamo attraversando, come ogni crisi finora conosciuta, produce inevitabilmente i suoi primi effetti sui soggetti più esposti, perciò più deboli del sistema-paese, e non potrà che accentuare tali debolezze quando l’economia riprenderà a crescere. Anzi, una delle interpretazioni più realistiche sulle cause alla base dell’esplosione della bolla speculativa sta nella caduta della quota del lavoro sul reddito primario (nazionale), mediamente di 0,5 punti ogni anno, più o meno ininterrottamente dalla metà degli anni Ottanta, a cui ha corrisposto un aumento della quota dei profitti.
Ma se negli altri paesi industrializzati l’aumento della quota dei profitti può essere considerato una sorta di contributo straordinario che i dipendenti, nella fase piena dello sviluppo capitalistico, hanno pagato alle imprese per consentire al sistema economico di riorganizzarsi e sostenere l’urto combinato delle nuove tecnologie e dei nuovi agguerriti concorrenti sul mercato globale, in Italia, dove la crescita della quota dei profitti si è accompagnata a una perdita di competitività e un andamento negativo della produttività, tale scambio è risultato pressoché inefficace.
Oggi, dunque, il rapporto capitale-lavoro appare sostanzialmente modificato. La quota di reddito nazionale assegnata al lavoro dipendente si è ridotta notevolmente a fronte però di una crescita della rendita, nemmeno del rendimento del capitale (nell’accezione classica, appunto).
Nel nostro paese, la mai risolta questione salariale rischia di accentuare la caduta della domanda interna, già surrogata da una sorta di keynesismo privato, cioè da un’espansione della domanda fondata sull’indebitamento delle famiglie. In Italia, secondo i dati della Banca d’Italia, nonostante il minore indebitamento delle famiglie italiane rispetto a quelle di paesi come gli Usa e il Regno Unito, ma anche Francia e Germania, il rapporto tra debito (mutui, credito al consumo ecc.) e reddito disponibile delle famiglie ha raggiunto circa il 50% (17 punti in più del 2001). La promessa del liberismo di creare ricchezza per tutti attraverso il mercato ha portato solo all’ineguaglianza della distribuzione e all’insostenibilità dei consumi.
Il punto, da cui si è obbligati a ripartire, sta nel ritrovare il valore del lavoro come fondamento della persona umana e dell’economia, creando le condizioni per liberare le potenzialità di sfruttamento delle nuove tecnologie, migliorando così la qualità del lavoro e della vita. Bisogna rompere l’alleanza tra rendita e profitto a scapito del lavoro. Nel 2004, Sylos Labini ci ricordava che, oltre a essere un costo per l’impresa, il salario non è soltanto la principale componente della domanda aggregata, è anche il principale incentivo all’aumento della produttività dei lavoratori e il principale pungolo alle imprese per l’innovazione tecnologica e organizzativa.
Tuttavia, nel solo periodo 2002-2008, secondo i dati Istat, le retribuzioni lorde di fatto hanno registrato una perdita cumulata di potere d’acquisto pari a 1.240 euro (30 euro al mese per 7 anni), prevalentemente a causa di un’inflazione programmata metà di quella reale negli anni 2002 e 2003, e per la mancata redistribuzione della produttività. A questi si aggiunge la perdita di ulteriori 1.182 euro, nello stesso periodo, per effetto della mancata restituzione
del fiscal drag.
La bassa crescita delle retribuzioni italiane si mostra come un fenomeno ancor più grave se confrontato con le dinamiche salariali relative agli altri maggiori paesi europei: i dati
Ocse confermano che in Italia dal 2000 al 2007 si registra una crescita media delle retribuzioni nette pari praticamente a zero (circa 17,1 punti nominali contro 17 punti di inflazione effettiva), mentre in Germania le retribuzioni nette reali sono aumentate di 5,6 punti percentuali, in Francia di 6,0 punti e nel Regno Unito di ben 11,0 punti.
Pur riacquisendo potere d’acquisto nei contratti nazionali degli ultimi anni, infatti, i salari italiani hanno rincorso l’inflazione senza recuperare mai tutta la perdita. Con la crisi la rincorsa diventa ancor più faticosa, se si pensa alla perdita di occupazione, all’abbattimento dei livelli di reddito per effetto del ricorso agli ammortizzatori sociali e, più in generale, alla depressione dell’economia. Insomma, la quota di reddito da lavoro dipendente subirà certamente un ulteriore ridimensionamento a causa della ripida salita che tutto il paese deve affrontare e che allontanerà ancor di più i lavoratori dalla piena tutela dei loro salari. Senza considerare che se si dovesse tornare a crescere dal 2010, nella migliore delle ipotesi, il processo di reflazione (mediante il quale si determina un rientro dell’inflazione sotto la spinta della domanda) determinerebbe inevitabilmente una platea di lavoratori-consumatori con meno reddito disponibile in termini reali.
Qual è allora il punto? Senza una ripresa della quota di reddito da lavoro dipendente sul reddito nazionale non si riescono a rilanciare consumi e investimenti in termini di contributo alla crescita del Pil. Avendo peraltro in questi anni riscontrato una perdita di potere d’acquisto difficile da recuperare con la contrattazione, appare indubbiamente necessario un intervento dello Stato attraverso il sistema fiscale, in particolare quando si vuole rilanciare la crescita anche attraverso le componenti della domanda interna. Lo Stato ha il potere e il diritto di correggere i cosiddetti "fallimenti dell’economia di mercato", ossia quelle situazioni in cui l’allocazione delle risorse realizzata dal mercato non appare soddisfacente sotto il profilo dell’efficienza (per la presenza di forme di mercato non concorrenziali, esternalità, informazione asimmetrica ecc.) o sotto il profilo dell’equità, più sfuggente nel suo statuto teorico, ma altrettanto se non più decisivo – come sottolinea il Nobel per l’Economia J. Stieglitz – per il giudizio sull’azione pubblica.

martedì 3 gennaio 2012

LETTERA DOCENTI DI ECONOMIA - 3 gennaio 2012

Spett. Direttore,
i firmatari di questa lettera sono tutti docenti universitari di economia. Chiediamo ospitalità ad alcuni giornali, fra cui il suo,  per rivolgere al Presidente Monti una domanda che riteniamo piuttosto importante. Ci auguriamo che lui stesso o qualche altro esponente del governo vorrà darci risposta.
La domanda è questa: perché nella manovra economica da poco approvata non è presente una seria tassazione di tipo patrimoniale della ricchezza mobiliare? Si tratta di un'assenza conturbante, in quanto questo provvedimento avrebbe alcuni ovvi vantaggi. In primo luogo potrebbe fornire un gettito sostanzioso: secondo i dati ufficiali dell'Associazione Italiana Private Banking, "Il valore della ricchezza investita nel private banking in Italia nel 2010 ha superato i livelli pre-crisi, al livello più alto da sempre, con 896 miliardi".  Questa naturalmente è solo una parte dell'imponibile. Aliquote anche molto miti consentirebbero di mantenere inalterata l'indicizzazione delle pensioni, con ovvi guadagni di equità e riducendo drasticamente gli effetti recessivi della manovra. Infine è il caso di sottolineare il guadagno di consenso che il governo ne ricaverebbe, per effetto della maggiore equità del prelievo complessivo della manovra; ed è noto come il consenso sia un capitale prezioso nei momenti di difficoltà.
Ciò che sopratutto ci preoccupa come economisti è però che accanto a questi ovvi effetti positivi non riusciamo a vederne di negativi. In altri termini, ci sembra che non vi sia alcun motivo di efficienza che possa giustificare l'assenza del provvedimento che auspichiamo. E' diffusa fra l'opinione pubblica la convinzione che tale assenza dipenda solo da ragioni di iniquità, e cioè dalla volontà di proteggere i redditi alti scaricando il peso del riequilibrio dei conti su quelli più bassi. Vogliamo sperare che non sia così; ma per fugare ogni dubbio è essenziale che il governo fornisca una spiegazione chiara e convincente. E anche sincera. Una motivazione che circola ufficiosamente, e cioè che non sia possibile sapere dove si trova la ricchezza mobiliare, è smentita dai dati che abbiamo citato più sopra, nonché da quelli forniti dalla relazione della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane nel 2010. Né si può dire che la manovra così com’è preveda implicitamente un serio intervento sulla ricchezza mobiliare: il gettito proveniente dalla tassazione dei capitali scudati e dei beni di lusso ammonta solo al 6% della manovra complessiva netta, e al 4% delle maggiori entrate. Neanche la motivazione che non è possibile tassare la ricchezza mobiliare perché questa fuggirebbe all'estero è credibile. Come dimostrano i dati sul private banking, la ricchezza mobiliare dei cittadini italiani più ricchi è enorme, e non è certamente una tassazione con una piccola aliquota che li indurrebbe a trasferirne surrettiziamente la proprietà a prestanome stranieri. Al rischio che una patrimoniale di tal fatta possa colpire anche i  risparmi della classe media si può facilmente porre rimedio stabilendo un’equa quota esente, che renderebbe oltretutto l’imposta progressiva. Possibili problemi di liquidità per il pagamento dell'imposta sarebbero facilmente evitabili concedendo adeguate (ma non eccessive) rateizzazioni. 
In sostanza, ci sembra che ci siano molti argomenti a favore di una  tassazione con un’aliquota non predatoria dei grandi patrimoni mobiliari, che non ci siano validi argomenti contrari sul piano dell'efficienza economica e che non vi siano rilevanti ostacoli di natura tecnica tali da impedirne l’adozione. Un chiarimento sulle ragioni della sua assenza dalla manovra sarebbe quindi opportuno.
Confidando in un'autorevole risposta, e ringraziandoLa per la sua ospitalità,
Giovanni Balcet (università di Torino)
Piervincenzo Bondonio (università di Torino)
Giorgio Brosio (università di Torino)
Roberto Burlando (università di Torino)
Paolo Chirico (università di Torino)
Ugo Colombino (università di Torino)
Alessandro Corsi (università di Torino)
Bruno Dallago (università di Trento)
Silvana Dalmazzone (università di Torino)
Aldo Enrietti (università di Torino)
Mario Ferrero (università del Piemonte Orientale)
Magda Fontana (università di Torino)
Ugo Mattei (università di Torino)
Letizia Mencarini (università di Torino)
Guido Ortona (università del Piemonte Orientale)
Matteo Richiardi  (università di Torino)
Lino Sau  (università di Torino)
Francesco Scacciati (università di Torino)
Roberto Schiattarella (Università di Camerino)
Vittorio Valli (università di Torino)