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giovedì 5 novembre 2015

Stress in polizia, lavoratori lasciati soli

Sofferenza e burn-out sono molto diffuse, e troppo spesso sfociano nel suicidio. Ma l'assistenza psicologica è inefficace, la valutazione perlopiù non viene realizzata, gli Rls sono esclusi dai gruppi di lavoro e gli operatori restano privi di tutele  

di Nicola Rossiello, Responsabile Dipartimento Sicurezza sul lavoro del Silp Cgil Nazionale
fonte Rassegna.it

Lo stress lavoro correlato è per gli operatori di polizia, al di là dei pericoli più strettamente operativi, il “rischio dei rischi”. La nostra categoria, infatti, opera con l’esigenza costante di sapere e poter gestire lo stress. Il primo elemento da rilevare al riguardo attiene alla selezione delle forze di polizia che, in linea di principio, avviene tenendo conto di un’elevata capacità individuale di sostenere gli esiti di contesti particolarmente stressanti. Servono infatti risorse importanti per poter affrontare criticità che mettono a rischio la nostra e altrui incolumità nelle quotidiane situazioni del lavoro in polizia.


Un recente libro di Francesco Carrer e Sergio Garbarino, “Lavorare in Polizia: stress e burnout” (edito da Franco Angeli), racconta che stress e sindrome da burn-out sono solo la punta dell’iceberg. Al di sotto c’è una grande sofferenza, che troppo di frequente sfocia anche nell’estremo gesto del suicidio. Allora ci chiediamo: come avviene la selezione dei nostri lavoratori? possiamo ritenere che essa sia efficace? e se non dovesse esserlo, è possibile introdurre correttivi? Meno conosciamo questa parte del percorso professionale dei poliziotti, più cresce l’esigenza di garantire una corretta valutazione dello stress lavoro correlato, come in un’opera di generale compensazione.
I poliziotti, sembra banale dirlo, sono esseri umani. Con le fragilità tipiche degli esseri umani, ma con una più strutturata capacità di coping. Oggi la sofferenza dei lavoratori di polizia è comune a quella di tutti i lavoratori, amplificata da fattori esterni quali la crisi economica, le situazioni familiari difficili, i meccanismi di gerarchia e subordinazione, in generale l’organizzazione del lavoro. La consapevolezza della sofferenza è sempre presente in chi fa sindacato. Emerge dal contatto quotidiano e continuo con i lavoratori, insieme all’esigenza sempre maggiore di tutele individuali.
Anche la questione dell’assistenza psicologica ha la sua importanza. Gli strumenti attuali non sono efficaci: i lavoratori se ne tengono lontani perché hanno su di essi un effetto depressivo, capace di peggiorare le situazioni più critiche, penalizzanti e colpevolizzanti. La nostra è una professione di aiuto, e nelle professioni di aiuto si attuano forme di supervisione psicologica finalizzate a individuare e sciogliere alcune criticità tipiche della professione, di agire sulle dinamiche di gruppo, su eventuali sofferenze e conflittualità, sull’elaborazione della propria funzione e del proprio ruolo.

Affrontiamo continuamente eventi traumatici e stressanti. Mi ha fatto riflettere qualche tempo fa l’intervista fatta a un operatore della Guardia costiera, impegnato nelle operazioni nel Canale di Sicilia. Quel lavoratore raccontava la sua sofferenza per aver dovuto soccorrere centinaia di migranti, naufraghi, e per aver raccolto decine di morti, tra i quali molti bambini. La nostra realtà professionale è analoga. E allora ci chiediamo: è possibile che un lavoratore venga impiegato in un’operazione così grave senza soluzione di continuità e senza che qualcuno si ponga domande su quali conseguenze potrebbe avere sulla sua esistenza? quali sono le ricadute su noi stessi, sulle nostre famiglie e sui nostri figli, sulla nostra tenuta emotiva e psicologica?
Se è vero che la supervisione ha un costo per le amministrazioni dello Stato delle professioni di aiuto, ragione per cui essa non si effettua, è vero anche che quel costo, oggi e da sempre, è sostenuto esclusivamente dai lavoratori. La valutazione dello stress lavoro correlato, allora, è importante per noi? Sì, lo è. Perché, se effettuata correttamente, potrebbe restituire ai lavoratori l’opportunità di intervenire sull’organizzazione del lavoro e correggere alcune criticità. In polizia si fa, ma come?
Nel 2008 viene emanato il decreto legislativo 81. Allora le istanze e le necessità dei vertici delle forze di polizia trovarono cittadinanza in una serie di deroghe e riserve. In particolare fu ratificata la deroga prevista dall’art. 3 comma 2, che recita: “Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia […] le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative, individuate entro e non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.
Ora, è vero che la sicurezza ha costi insostenibili per qualsiasi paese. La sicurezza dei lavoratori, invece, non ha costi insostenibili, ed è un obbligo per i datori di lavoro, in particolare per lo Stato che ha emanato le norme. L’art. 3 comma 2, nella sua formulazione attuale, prevarica le sue dimensioni e viene utilizzato per consentire all’amministrazione di andare oltre quello che è il contesto operativo, sollevandosi dall’onere di valutare il rischio in molti ambiti.

Troppe realtà restano escluse da una corretta e doverosa valutazione del rischio. La questione è stata resa ancora più complessa per il fatto che eravamo in attesa dell’emanazione di adeguate linee guida dal gennaio 2011, anche se la valutazione, obbligatoria, si sarebbe dovuta effettuare comunque. E solo nei primi mesi di quest’anno sono state emanate. La quasi totalità dei nostri datori di lavoro le ha interpretate non a carattere di raccomandazione e di indirizzo generale, ma come provvedimento dispositivo, con il risultato di vedere esclusi i nostri Rls dai gruppi di lavoro e con l’inserimento, al loro posto, di soggetti di fiducia, lavoratori rappresentativi di un campione (spesso neppure significativo) di tutti i lavoratori, il più delle volte appartenenti alle qualifiche apicali. Ci troviamo così davanti alla difficoltà oggettiva di procedere nella valutazione dello stress lavoro correlato perché gli ostacoli sono imponenti.
I Rls sono i soggetti competenti e conoscitori degli aspetti legati al servizio, dell’organizzazione del lavoro e delle sue ricadute, ma soprattutto sono gli unici soggetti ai quali la legge attribuisce la funzione di rappresentanza dei lavoratori. Escluderli equivale a sottrarre effettività alle disposizioni di legge, alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, fino alla violazione dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, con il quale è sancito che il potere di rappresentanza è specifico delle organizzazioni sindacali, e i Rls sono equiparati a esse. Così non si fa un buon servizio ai lavoratori e al paese. Il pericolo è quello di vedere aprire un contenzioso giudiziario e costruire ulteriori ritardi.
Noi non vogliamo pensare che il timore possa essere quello di mettere mano all’organizzazione del lavoro, perché la valutazione dello stress lavoro correlato deve essere, ed è, una risorsa per tutti. Dove si è ben lavorato, si è prodotto un incremento della produttività, una maggiore efficienza dei servizi forniti, un diffuso benessere tra i lavoratori. Di questo dobbiamo essere consapevoli e porci l’obiettivo di lavorare tutti insieme nella stessa direzione.
Non possiamo permetterci una valutazione autoreferenziale, lasciando i nostri lavoratori privi di tutele che spettano a chi ha impegnato le proprie risorse in un mestiere difficile. Ci sono lavoratori ai quali l’amministrazione non riconosce ciò che è loro dovuto. Un caso per tutti, quello di un lavoratore in servizio da più di vent’anni in centrale operativa, che viene colto da infarto, dopo aver superato altre due patologie importanti riconducibili allo stress. Ebbene, in sede di visita medico-legale gli è stata negata una certificazione favorevole perché si ritiene che solo il lavoro svolto all’esterno sia stressante, mentre quello interno sarebbe assimilabile a quello burocratico. Il servizio nelle centrali operative, la gestione delle emergenze, è un’attività estremamente stressante, lo sappiamo bene tutti noi. Cosa sarebbe accaduto, in quel caso, se ci fosse stata una corretta valutazione del rischio? Avremmo potuto certificare una causa di servizio, ma penso che avremmo anche potuto prevenire un infarto. Correggere questo percorso è doveroso, possiamo e dobbiamo farlo insieme.