Art.1

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giovedì 20 dicembre 2012

Anche l'OCSE denuncia il differenziale di genere nel lavoro e nei salari - Una realtà che appartiene anche alla nostra professione

Nei giorni scorsi l'OCSE ha presentato il rapporto “Chiudere il gap di genere: agire ora” (“Closing the Gender Gap: Act Now”) relativo alle persistenti differenze nella partecipazione al mercato del lavoro, nei ruoli dirigenziali e imprenditoriali e nelle condizioni salariali per le donne nei 34 paesi membri dell'Organizzazione. Il rapporto mostra come, nella media dei paesi OCSE, a parità di lavoro e di posizione professionale le donne guadagnino il 16% in meno degli uomini. Differenza che sale al 21% nelle posizioni professionali più alte. Ancora, la media della differenza salariale tra uomini e donne in famiglie con uno o più figli sale al 22%, mentre scende al 7% per le coppie senza figli.
Le donne, in generale, pagano una penalizzazione salariale per avere figli, con una punta massima del 14% in Corea del Sud, mentre questa tendenza sarebbe quasi inesistente in Spagna ed in Italia, dove, secondo i dati OCSE, il gap salariale sarebbe tra i più bassi. Ma questo dato “positivo” sarebbe, in realtà, il risultato dell'abbandono del mercato del lavoro da parte di una quota consistente di donne che riceverebbero i salari più bassi. L'Italia, infatti, è tra i fanalini di coda nella partecipazione femminile al mercato del lavoro: solo il 51% contro una media OCSE del 65%. Solo due paesi dell'OCSE, Turchia e Messico, hanno un tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro più basso di quello italiano. L'OCSE sottolinea l'importanza delle politiche dell'istruzione e della formazione, dei servizi sociali e della tassazione per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per il raggiungimento dell'eguaglianza salariale con i maschi. E, ancora una volta, le condizioni in Italia non sono particolrmente favorevoli: meno del 30% dei bambini sotto i tre anni usufruisce dei servizi per l'infanzia e il 33% delle donne italiane sono costrette al part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari, contro una media OCSE del 24%. Anche nel settore manageriale ed imprenditoriale il differenziale di genere è elevato: nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e solo il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa; nello steso anno le donne rappresentavano il 22% degli imprenditori con dipendenti, ma il loro reddito era solo la metà di quello dei maschi nella stessa categoria sociale. Secondo l'OCSE, se, a parità di altre condizioni, nel 2030 il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro raggiungesse quello maschile, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL procapite salirebbe dell'1% all'anno.
Scheda del rapporto relativo all'Italia: Closing_the_Gender_Gap-Italy_FINAL1212.pdf [Genere]
Informazioni più dettagliate sull'intero rapporto: www.oecd.org/Informazioni dettaggender/closingthegap.htm
Un importante documento della CGIL nazionale sulle differenze di genere. Una questione che sentiamo nostra perchè ci riguarda direttamente. Anzi, se possibile, per noi ancora peggiore. Da sempre, insieme alla CGIL contrastiamo quella strategia silente che dall’inizio del decennio passato ha inteso, come dichiarato da alcuni esponenti politici, di “impedire l’estrema femminilizzazione della Polizia di Stato”, e ha portato la nostra Istituzione a ridimensionare l’organico femminile costringendolo a percentuali di circa il 10% del totale. E' il risultato degli effetti perversi del reclutamento tramite esercito.
Nel passaggio ai ruoli della Polizia di Stato, a causa di una presenza femminile non superiore al 3% nell’esercito, si realizza una conseguente progressiva riduzione dell’organico di proporzioni rilevanti e indebolisce la piena partecipazione delle donne alla vita di comunità.
Analoghe organizzazioni, e mi riferisco ad esempio, al Corpo della Polizia Municipale di Torino, in alcuni anni, hanno realizzato una effettiva parificazione delle quote di genere.
Nicola Rossiello