Sofferenza e burn-out sono molto diffuse, e troppo spesso sfociano nel
suicidio. Ma l'assistenza psicologica è inefficace, la valutazione
perlopiù non viene realizzata, gli Rls sono esclusi dai gruppi di lavoro
e gli operatori restano privi di tutele
di Nicola Rossiello, Responsabile Dipartimento Sicurezza sul lavoro del Silp Cgil Nazionale
fonte Rassegna.it
Lo stress lavoro correlato è per gli operatori di polizia, al di
là dei pericoli più strettamente operativi, il “rischio dei rischi”.
La nostra categoria, infatti, opera con l’esigenza costante di sapere e
poter gestire lo stress. Il primo elemento da rilevare al riguardo
attiene alla selezione delle forze di polizia che, in linea di
principio, avviene tenendo conto di un’elevata capacità individuale di
sostenere gli esiti di contesti particolarmente stressanti. Servono
infatti risorse importanti per poter affrontare criticità che mettono a
rischio la nostra e altrui incolumità nelle quotidiane situazioni del
lavoro in polizia.
Un recente libro di Francesco Carrer e Sergio Garbarino, “Lavorare in Polizia: stress e burnout” (edito da Franco Angeli),
racconta che stress e sindrome da burn-out sono solo la punta
dell’iceberg. Al di sotto c’è una grande sofferenza, che troppo di
frequente sfocia anche nell’estremo gesto del suicidio. Allora ci
chiediamo: come avviene la selezione dei nostri lavoratori? possiamo
ritenere che essa sia efficace? e se non dovesse esserlo, è possibile
introdurre correttivi? Meno conosciamo questa parte del percorso
professionale dei poliziotti, più cresce l’esigenza di garantire una
corretta valutazione dello stress lavoro correlato, come in un’opera di
generale compensazione.
I poliziotti, sembra banale dirlo, sono esseri umani. Con le
fragilità tipiche degli esseri umani, ma con una più strutturata
capacità di coping. Oggi la sofferenza dei lavoratori di
polizia è comune a quella di tutti i lavoratori, amplificata da fattori
esterni quali la crisi economica, le situazioni familiari difficili, i
meccanismi di gerarchia e subordinazione, in generale l’organizzazione
del lavoro. La consapevolezza della sofferenza è sempre presente in chi
fa sindacato. Emerge dal contatto quotidiano e continuo con i
lavoratori, insieme all’esigenza sempre maggiore di tutele individuali.
Anche la questione dell’assistenza psicologica ha la sua importanza.
Gli strumenti attuali non sono efficaci: i lavoratori se ne tengono
lontani perché hanno su di essi un effetto depressivo, capace di
peggiorare le situazioni più critiche, penalizzanti e colpevolizzanti.
La nostra è una professione di aiuto, e nelle professioni di aiuto si
attuano forme di supervisione psicologica finalizzate a individuare e
sciogliere alcune criticità tipiche della professione, di agire sulle
dinamiche di gruppo, su eventuali sofferenze e conflittualità,
sull’elaborazione della propria funzione e del proprio ruolo.
Affrontiamo continuamente eventi traumatici e stressanti.
Mi ha fatto riflettere qualche tempo fa l’intervista fatta a un
operatore della Guardia costiera, impegnato nelle operazioni nel Canale
di Sicilia. Quel lavoratore raccontava la sua sofferenza per aver dovuto
soccorrere centinaia di migranti, naufraghi, e per aver raccolto decine
di morti, tra i quali molti bambini. La nostra realtà professionale è
analoga. E allora ci chiediamo: è possibile che un lavoratore venga
impiegato in un’operazione così grave senza soluzione di continuità e
senza che qualcuno si ponga domande su quali conseguenze potrebbe avere
sulla sua esistenza? quali sono le ricadute su noi stessi, sulle nostre
famiglie e sui nostri figli, sulla nostra tenuta emotiva e psicologica?
Se è vero che la supervisione ha un costo per le amministrazioni dello Stato delle professioni di aiuto,
ragione per cui essa non si effettua, è vero anche che quel costo, oggi
e da sempre, è sostenuto esclusivamente dai lavoratori. La valutazione
dello stress lavoro correlato, allora, è importante per noi? Sì, lo è.
Perché, se effettuata correttamente, potrebbe restituire ai lavoratori
l’opportunità di intervenire sull’organizzazione del lavoro e correggere
alcune criticità. In polizia si fa, ma come?
Nel 2008 viene emanato il decreto legislativo 81. Allora le
istanze e le necessità dei vertici delle forze di polizia trovarono
cittadinanza in una serie di deroghe e riserve. In particolare
fu ratificata la deroga prevista dall’art. 3 comma 2, che recita: “Nei
riguardi delle Forze armate e di Polizia […] le disposizioni del
presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle
effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle
peculiarità organizzative, individuate entro e non oltre dodici mesi
dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.
Ora, è vero che la sicurezza ha costi insostenibili per qualsiasi paese.
La sicurezza dei lavoratori, invece, non ha costi insostenibili, ed è
un obbligo per i datori di lavoro, in particolare per lo Stato che ha
emanato le norme. L’art. 3 comma 2, nella sua formulazione attuale,
prevarica le sue dimensioni e viene utilizzato per consentire
all’amministrazione di andare oltre quello che è il contesto operativo,
sollevandosi dall’onere di valutare il rischio in molti ambiti.
Troppe realtà restano escluse da una corretta e doverosa valutazione del rischio.
La questione è stata resa ancora più complessa per il fatto che eravamo
in attesa dell’emanazione di adeguate linee guida dal gennaio 2011,
anche se la valutazione, obbligatoria, si sarebbe dovuta effettuare
comunque. E solo nei primi mesi di quest’anno sono state emanate. La
quasi totalità dei nostri datori di lavoro le ha interpretate non a
carattere di raccomandazione e di indirizzo generale, ma come
provvedimento dispositivo, con il risultato di vedere esclusi i nostri
Rls dai gruppi di lavoro e con l’inserimento, al loro posto, di soggetti
di fiducia, lavoratori rappresentativi di un campione (spesso neppure
significativo) di tutti i lavoratori, il più delle volte appartenenti
alle qualifiche apicali. Ci troviamo così davanti alla difficoltà
oggettiva di procedere nella valutazione dello stress lavoro correlato
perché gli ostacoli sono imponenti.
I Rls sono i soggetti competenti e conoscitori degli aspetti
legati al servizio, dell’organizzazione del lavoro e delle sue ricadute,
ma soprattutto sono gli unici soggetti ai quali la legge attribuisce la
funzione di rappresentanza dei lavoratori. Escluderli equivale a
sottrarre effettività alle disposizioni di legge, alla tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori, fino alla violazione dell’art.
28 dello Statuto dei lavoratori, con il quale è sancito che il potere di
rappresentanza è specifico delle organizzazioni sindacali, e i Rls sono
equiparati a esse. Così non si fa un buon servizio ai lavoratori e al
paese. Il pericolo è quello di vedere aprire un contenzioso giudiziario e
costruire ulteriori ritardi.
Noi non vogliamo pensare che il timore possa essere quello di mettere mano all’organizzazione del lavoro,
perché la valutazione dello stress lavoro correlato deve essere, ed è,
una risorsa per tutti. Dove si è ben lavorato, si è prodotto un
incremento della produttività, una maggiore efficienza dei servizi
forniti, un diffuso benessere tra i lavoratori. Di questo dobbiamo
essere consapevoli e porci l’obiettivo di lavorare tutti insieme nella
stessa direzione.
Non possiamo permetterci una valutazione autoreferenziale,
lasciando i nostri lavoratori privi di tutele che spettano a chi ha
impegnato le proprie risorse in un mestiere difficile. Ci sono
lavoratori ai quali l’amministrazione non riconosce ciò che è loro
dovuto. Un caso per tutti, quello di un lavoratore in servizio da più di
vent’anni in centrale operativa, che viene colto da infarto, dopo aver
superato altre due patologie importanti riconducibili allo stress.
Ebbene, in sede di visita medico-legale gli è stata negata una
certificazione favorevole perché si ritiene che solo il lavoro svolto
all’esterno sia stressante, mentre quello interno sarebbe assimilabile a
quello burocratico. Il servizio nelle centrali operative, la gestione
delle emergenze, è un’attività estremamente stressante, lo sappiamo bene
tutti noi. Cosa sarebbe accaduto, in quel caso, se ci fosse stata una
corretta valutazione del rischio? Avremmo potuto certificare una causa
di servizio, ma penso che avremmo anche potuto prevenire un infarto.
Correggere questo percorso è doveroso, possiamo e dobbiamo farlo
insieme.