Art.1

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venerdì 4 ottobre 2013

Intervista di Radio Articolo 1 a Vera Lamonica (Cgil): Lampedusa mai più

La tragedia frutto della chiusura dell'Italia e dell'Europa. Riforma del sistema di accoglienza, revisione radicale della Bossi-Fini, diritto di voto e cittadinanza sono temi non più rinviabili  
La vergogna di Lampedusa, come ha detto il papa; l’orrore di Lampedusa, come ha aggiunto il presidente Napolitano. Purtroppo non poteva essere che questo, oggi, il tema dell’intervista a un dirigente Cgil che Radioarticolo1 offre ogni giorno nello spazio di “Italia parla” – titolo, in questo caso, Lampedusa mai più –. A parlare dell'ennesima tragedia, del barcone con cinquecento migranti affondato ieri nel canale di Sicilia, la segretaria confederale Vera Lamonica.

“Difficile non esprimere l’orrore, l’indignazione, la rabbia e il dolore per quello che è successo. È una delle più grandi tragedie mai accadute nel Mediterraneo – ha esordito la segretaria Cgil –. Ma vorrei ricordare che nel nostro mare si calcola che ci siano almeno 22mila morti. Un’autentica ecatombe, una strage che continua per queste persone che fuggono dalle guerre, dalla fame e che, a causa del modo in cui vengono gestiti i flussi, in Italia e in Europa, sono costrette ad affidarsi agli scafisti, alle organizzazioni criminali”.

“Le parole sono state dette tutte ieri – ha proseguito –. Ora bisogna mobilitarsi. Passato il momento della grande emozione, è impossibile che tutto torni come prima. Questa strage va fermata. Gli strumenti ci sono. Bisogna individuare le vie”.

Come intervenire, allora? “Sicuramente c’è il tema Europa. A condizione che non lo si usi come uno scaricabarile. L’Europa, perché Lampedusa, nel Mediterraneo, è la frontiera sud del continente. Si è discusso molto, in questi anni, ma non ci sono stati significativi passi avanti. L’Europa non può dividere la sua frontiera sud con un muro; anche perché nel mare non è possibile alzare muri. L’idea di un muro che impedisca a persone disperate di arrivare sulle nostre coste è assolutamente folle".

"Quest'idea ha prodotto, da una parte, l’inadeguatezza delle scelte compiute dall'Europa, dall’altra l’indifferenza. C’è stata molta indifferenza e molta chiusura rispetto a quanto è accaduto finora; e da questa indifferenza è venuta una modalità di gestione del controllo delle frontiere, pensiamo al programma Frontex – che è un programma europeo di pattugliamento delle coste – che non guarda certo alle persone e alla loro disperazione”.

“Ma, dall’altra parte abbiamo un problema che è tutto italiano. Questo problema è la nostra legislazione: un insieme di norme a causa delle quali, oggi, non ci sono canali legali d’ingresso nel paese. Noi abbiamo una legislazione che purtroppo ruota tutta attorno alla Bossi-Fini, alla cultura che esprime la Bossi-Fini; una legislazione non solo inadeguata ma anche sbagliata e per alcuni aspetti paradossale. Si pensi alla tragedia di ieri. Non sappiamo ancora come tante cose siano andate, quindi non voglio esprimere giudizi; però il fatto che possano esserci delle imbarcazioni che non si fermano a prestare soccorso, beh, io non voglio dire sia la legge Bossi-Fini che lo impedisce, perché è evidente che quella legge non nega il soccorso in mare. Però c’è un reato: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E rispetto a questo reato abbia introiettato tanta paura”.

“Allora, non possiamp provare tanta emozione, e poi lasciare questa legislazione così com’è. La nostra opinione è che gli aspetti più aberranti della Bossi-Fini, penso alla questione della clandestinità con gli annessi e connessi, al blocco totale di ogni possibilità d'ingresso in Italia, vadano affrontati immediatamente. Ci auguriamo che da oggi il parlamento avvii una discussione in questo senso, che il governo assuma decisioni adeguate. Naturalmente si dovrà pensare a strumenti legislativi in grado di governare il fenomeno dell’immigrazione. Ma alcune aberrazioni vanno cancellate”.

“Poi c’è un tema più specifico che riguarda i rifugiati. L’Italia, vorrei ricordare, è un paese che non ha una legge organica sul diritto di asilo. Siamo legati a una norma europea – anche qui entra pesantemente in gioco l’Europa – che gestisce le procedure di asilo in una maniera che non corrisponde più alla realtà. L’Italia deve dotarsi di una legislazione adeguata”.

“Ancora, il problema dell'accoglienza. È evidente che non siamo davanti a un sistema di accoglienza, ben strutturato, che interessi tutto il territorio nazionale: Lampedusa e la Sicilia sono sole. Vorrei ricordare le parole, la sofferenza, lo sgomento del sindaco di Lampedusa, così di come di tutti gli abitanti dell’isola che ancora una volta hanno dimostrato solidarietà, vicinanza, capacità di misurarsi con una tragedia immane; di agire con la dignità, la misura e l’operosità che sempre ha dimostrato quest’isola. Ma Lampedusa, e la Sicilia, non possono restare sole. Segnali importanti, dunque, vanno dati immediatamente su tutti i fronti: l’Europa, l’Italia, la legislazione, i rifugiati e anche la cooperazione internazionale; perché non c’è dubbio che il tema che abbiamo davanti, come si affrontano i vecchi e i nuovi flussi che vengono dall’Africa, dal Medio Oriente e in generale dalle zone di guerra e dalle zone con grande difficoltà, sia per la cooperazione internazionale un grande sfida”.
 
“A proposito del sindaco di Lampedusa – ha annotato Emma Berti di Radioarticolo1 – è giusto aprire una parentesi sui numeri, perché rendono l’idea: su 25mila persone sbarcate in vent’anni sono 6.200 i morti, quelli ovviamente riconosciuti, trovati nel canale di Sicilia dal ’94 in avanti. Perché poi, in fondo al nostro mare, ce ne sono oltre 22mila. Ieri il sindaco Giusi Nicolini ha detto: “Non sappiamo più dove mettere né i morti né i vivi”, perché a Lampedusa c’è un centro di accoglienza per trecento persone in cui ce ne sono già 1.350. Numeri che dicono tutto: di quello che c’è e di quello che manca”.

“Di questi tempi in Italia – ha risposto Lamonica –, in un paese come l’Italia, abbiamo il problema di dove mettere i morti; e di un appello in questo senso ai comuni. Una cosa così penso debba segnarci per sempre. Non ci sono parole per esprimere quello che si prova. Io spero ci siano atti di governo che intanto riescano ad alleviare le sofferenze di chi è vivo, di chi è arrivato vivo, e che possano provare a costruire un piano di accoglienza anche per i nuovi profughi. La discussione sui numeri, in queste situazioni, è sempre delicata: perché una persona vale una persona anche se fosse una persona sola. Però vorrei ricordare che sì, l'Italia ha un certo numero di profughi da gestire; ma non si tratta di un numero sconvolgente, non è un numero che un paese come il nostro non possa gestire. Ci sono paesi in Europa, penso alla Germania, che rispetto alla tragedia siriana hanno programmato un numero di accoglienze più grande del nostro. E penso ai paesi confinanti con la Siria, che certo in condizioni disperate, stanno però ospitando centinaia di migliaia di persone. Questo non vuole dire che il numero non crei dei problemi. Il punto è la qualità della risposta. Ma davvero non si può, coinvolgendo ad esempio l’intero sistema degli enti locali? Fra le tante storture della nostra gestione dei temi dell’immigrazione, noi abbiamo un pezzo del sistema di accoglienza, il cosiddetto sistema Sprar, che è gestito dagli enti locali e suddivide i profughi in piccoli comuni, in piccoli numeri e quindi prova a inserirli, a integrarli, a dare loro un'accoglienza dignitosa. Ma è troppo piccolo, è troppo poco. C’è stato un impegno del governo, del ministro dell’Interno in prima persona, che ha detto che porteremo questo numero a quota 16mila. Ma dire che 'porteremo' è parlare di un’intenzione, occorre invece che il sistema di accoglienza sia totalmente ripensato, riorganizzato e messo in condizione di gestire quel che accade".

"Quando delle persone arrivano a Lampedusa devono immediatamente avere dei luoghi, non a Lampedusa, per essere accolte immediatamente. Poi in quei luoghi si stabilisce lo stato giuridico di quella persona: se è un profugo, un richiedente asilo, un immigrato economico, un minore, e sulla base di questo, avviarla verso i diversi percorsi di accoglienza. Certo, c'è anche un costo. Ma io penso che oggi sia la dignità dell’Italia in discussione, il livello di civiltà e di democrazia dell’Italia”.

“Vorrei aggiungere una notazione ulteriore. Speriamo che quelli di ieri siano gli ultimi morti. Perché noi avremo sicuramente, nelle prossime settimane, tante altre imbarcazioni. Allora, siamo sicuri, ad esempio, che queste imbarcazioni non si possano avvistare immediatamente in un mare come il Mediterraneo, che non si possa presidiare questo mare per proteggerne la navigazione e impedire queste tragedie? Noi abbiamo parlato di un corridoio umanitario. In genere è un termine che si usa nelle guerre, quindi capisco la prudenza. Però il corridoio umanitario a cosa serve? Serve a stabilire che ci sono alcune rotte protette: che l’Europa, non solo l’Italia, pensa di approntare. È davvero impossibile impedire queste tragedie? Questa, adesso, è l'urgenza. E penso che l’Italia coralmente oggi debba dire “mai più” e debba farsi carico del problema. Poi, certo, deve aprire una discussione con l'Europa. È ovvio che non possiamo farci carico di tutto, però intanto bisogna decidere 'mai più' e impegnare il paese in uno sforzo di organizzazione della tutela e della difesa di queste persone. Va fatto subito, perché non c’è molto tempo, perché non possiamo permetterci di piangere su altre tragedie. L’Italia, per usare la parola usata del papa e ripresa dal presidente Napolitano, questa vergogna non se la può permettere. Così come non può permettersela l’Europa.

I soccorsi, l’accoglienza, l'identificazione. Ma subito dopo dovrebbe venire un’altra fase, quella dell’integrazione. E l’integrazione, ha ricordato Radiarticolo1, si costruisce anche con il lavoro. L’Ires Cgil ha presentato in settimana una ricerca che parla proprio del lavoro degli immigrati e che ci dà un altro dato allarmante: 1.200.000 migranti nel nostro paese sono in un’area di sofferenza e di disagio occupazionale, e uno su due è tentato di lasciare l’Italia, magari dopo un viaggio come quello che abbiamo visto appunto nelle cronache di questi giorni.

“La presenza del lavoro immigrato, delle persone immigrate, dei nuclei familiari immigrati nel nostro paese è una realtà strutturale oramai consolidata. Il tema dell’immigrazione è il tema di una presenza di lavoratori stranieri che in gran parte sono residenti da lungo periodo, hanno ricongiunto i nuclei familiari, hanno i bambini a scuola: bambini che sono nati in Italia e si sentono italiani. Quindi quello dell’integrazione è un tema che ha a che fare con la struttura sociale, il modello economico e sociale del paese. Non è un’emergenzaa. È evidente che gli effetti della crisi drammatica che attraversa l'Italia colpiscono tutti: i lavoratori italiani, quelli stranieri, i giovani e i meno giovani. Ed è evidente che la crisi ha un peso maggiore sugli immigrati. Ma ha un peso maggiore, e ritorniamo a quello che dicevamo prima sulla legislazione, perché purtroppo l’immigrato che perde il lavoro, finito il periodo degli ammortizzatori sociali – quando ha gli ammortizzatori sociali –, rischia di perdere la sua condizione di esistenza in Italia. La crisi ha colpito molto di più i settori meno competitivi, meno innovativi del nostro sistema produttivo, ad esempio quelli che non esportano. Ha prodotto perciò una disoccupazione maggiore tra gli immigrati. E questo ha degli effetti: un numero sempre più grande di persone che pensano di andar via dall’Italia. Ma, la cosa che colpisce, non è vero che vogliono tornare nel paese di origine, pensano invece di emigrare in altri paesi europei. Questo dovrebbe essere motivo di riflessione per il sistema paese; un sistema paese che non è attrattivo per nessuno mentre lo sono la Francia, la Germania e altri paesi europei”.

“Questo da una parte. Dall’altra c’è un fenomeno molto preoccupante, anch'esso motivo di riflessione. Nella crisi molti degli immigrati scivolano nell’irregolarità lavorativa. Il rischio, allora, è che quei pezzi di economia sommersa che ci sono ancora possano estendersi. Poi c’è un altro problema: per i lavoratori immigrati stanno peggiorando le condizioni materiali di lavoro: aumentano i ritmi, aumentano gli orari, aumenta lo sfruttamento. E siccome i lavoratori migranti ovviamente sono più ricattabili, appunto perché perdendo il lavoro perdono l’insieme dei diritti, è evidente che sono costrette a subire il peggioramento delle condizioni di lavoro".

"Si sono fatte tante parole e tante discussioni – ha concluso Lamonica –. Io penso che questo governo ha il merito di aver cambiato i linguaggi sull’immigrazione, che non sono più quelli dei governi di berlusconiana memoria. Adesso però ci vuole qualcos'altro. Penso che il parlamento debba cominciare a affrontare la questione della cittadinanza, del diritto di voto agli immigrati oltre alla revisione totale – il primo problema – della legislazione legata alla Bossi-Fini. Ci vogliano adesso dei fatti anche per dare speranza non solo ai lavoratori immigrati ma al paese”.