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giovedì 26 giugno 2014

Il rapporto della Commissione Antimafia: in Piemonte comanda la ‘ndrangheta

La mafia si nasconde nei meandri delle piccole amministrazioni locali. È quanto emerge dal rapporto trimestrale che la Commissione Antimafia guidata da Rosy Bindi oggi a Torino ha richiesto all’Osservatorio Criminalità organizzata dell’Università di Milano. “La diffusione del fenomeno mafioso avviene in realtà soprattutto attraverso il fittissimo reticolo dei comuni di dimensioni minori - scrive il coordinatore Nano Dalla Chiesa -, che vanno considerati nel loro insieme come il vero patrimonio attuale dei gruppi e degli interessi mafiosi”. La scelta dei piccoli comuni e quindi delle piccole economie locali è una scelta strategica che paga “per l’inesistenza o per la debole presenza di presidi delle forze dell’ordine; per il cono d’ombra protettivo steso sulle attività criminali per un interesse oggettivamente ridotto assegnato alle vicende dei comuni minori dalla grande stampa e dalla politica nazionale. E infine perché nei piccoli centri bastano poche preferenze per l’accesso alle amministrazioni locali”.
Il Piemonte è una tra le regioni del Nord “più penetrate, benché in forme e a livelli assai diseguali, dal fenomeno mafioso”, un fenomeno che le recenti inchieste “Minotauro” e “Alba Chiara” hanno contribuito a portare alla luce, evidenziando come esista “un radicamento molto forte soprattutto nella città di Torino e nella sua provincia ma anche nel basso Piemonte”.
Nella nostra regione la ‘ndrangheta ha un ruolo di primo piano e sono 15 le cosiddette “locali”, vale a dire le strutture della malavita che riuniscono più ‘ndrine sul territorio. Il rapporto che la Commissione Antimafia discuterà oggi e domani a Torino parla di 135 beni confiscati nel capoluogo, 51 nel resto del Piemonte, numeri che ne fanno la seconda regione per numero di confische dietro alla Lombardia.