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lunedì 28 gennaio 2013

CGIL: 25 e 26 gennaio Conferenza di Programma, presentato 'Il Piano del Lavoro'

Importante appuntamento per la CGIL il 25 e 26 gennaio con la Conferenza di Programma 'Il Piano del Lavoro - Creare lavoro per dare futuro e sviluppo al Paese' a Roma presso il PalaLottomatica si è svolta la due giorni di lavori che ha avuto al centro proprio la presentazione di uno straordinario 'Piano del Lavoro' al quale la CGIL sta lavorando da tempo sulla base dell'esperienza storica del documento presentato tra 1949 e il 1950 dal l'allora Segretario Generale della CGIL Giuseppe Di Vittorio al congresso di Genova. 

Di seguito proponiamo la sintesi degli interventi di importanti personalità del mondo politico e accademico che hanno portato il loro prezioso contributo, quali: l'ex presidente del Consiglio dei Ministri,Giuliano Amato; l'economista, Antonio Silvano Andriani; il ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca; il segretario del Partito Democratico,Pierluigi Bersani; il leader del Centro Democratico, Bruno Tabacci; e il presidente di Sinistra Ecologia Libertà, Nichi Vendola, oltre al video messaggio del presidente del Parlamento europeo,Martin Schulz.


Nichi Vendola, leader di Sel (sintesi) 
"Chi chiede lo scalpo della Cgil vuole abolire il mondo del lavoro. Senza i sindacati non si irrobustisce la voce dei lavoratori, ma anzi si segna il declino e la morte dei lavoratori. L'assalto al lavoro è il punto inquietante della battaglia politica che si sta determinando. Il sindacato è il presidio dei diritti dei lavoratori e i lavoratori già oggi sono penalizzati e in ginocchio. Senza sindacato non avrebbero diritto di negoziazione. Le elite che vogliono lo scalpo della Cgil lo fanno non per antipatia verso il massimalismo ma per abolire quel punto di vista che fa del mondo del lavoro l'osservatorio sulle sofferenze della gente. Il nodo lavoro-democrazia è insuperabile. Se non si offre buona occupazione, la democrazia è sconfitta”. Lo ha detto il leader di Sel, Nichi Vendola, intervenendo alla Conferenza di programma. 
“Vediamo, per esempio, Monti che dice che i guai dell'Italia di questo ultimo ventennio sono da addebitare alla destra e alla sinistra. Monti vuol fare il Beppe Grillo con il loden: la verità è che la destra ha governato ed ha avuto l'egemonia culturale per un ventennio in questo Paese. Quell'egemonia è colpa anche della sinistra che ha perso ogni contatto con la civiltà del lavoro. Ecco perché, io credo, che il centrosinistra debba assolutamente recuperare il rapporto col mondo del lavoro, partendo da una legge sulla rappresentanza sindacale, che non è più rinviabile". 


Bruno Tabacci, leader del Centro Democratico (sintesi) 
“Da qualcuno la Cgil è stata definita roccaforte della conservazione, ma – citando Tommaso Moro – bisogna avere la forza di cambiare le cose da cambiare e conservare quelle da conservare. E la forza di distinguere le une dalle altre”. Lo ha detto il leader del Centro Democratico, Bruno Tabacci, aggiungendo: “Moro ha fatto il ritratto del buon politico: distinguere le cose da cambiare dalle altre”. Tra innovatori e conservatori “non c'è uno schema bipolare – ha spiegato -, chi alimenta queste tesi è un evocatore del pensiero unico liberista, non certo dell'economia sociale di mercato. E questo non è l'approccio giusto per ripartire. Nessuno può bollare l'altro con il marchio della conservazione, ma anzi bisogna recuperare le buone ragioni della politica. Oggi il più grande sindacato italiano chiede un radicale cambiamento di rotta”. 
“Il Piano del Lavoro ci interessa molto, anche se alcuni compiti competono al sindacato e altri al governo”. “E' già molto immaginare che una forza sindacale abbia una visione complessiva, è questo l'approccio giusto – ha aggiunto -. Sulla riforma del fisco, c'è da affrontare il sommerso, la corruzione e l'evasione di sistema. Le stime Istat dicono che il 17% dell'economia italiana è irregolare, a cui va aggiunta l'economia mafiosa e quella informale. C'è una colossale evasione sistematica che determina la caduta del diritto di cittadinanza. Sul fronte delle tasse, si può lavorare per rendere l'Imu progressiva”. 
“Si possono fare molte cose, ma c'è un grande esercizio di onestà intellettuale a cui dedicarsi: la crisi etica è profonda. Oggi la situazione italiana è come il gioco dei pacchi in televisione: non c'è fiducia nella responsabilità e nei doveri, ma solo nella fortuna, la società ti invita a giocare al lotto”. “Governare un paese dove i valori declinano è molto più difficile, perchè diventa il paese non dei diritti ma delle pretese, anche le più assurde. Per questo una grande organizzazione come la Cgil deve fare scuola. L'austerità non va usata solo in termini negativi – sostiene -, perché per anni il ricco Occidente ha creato carta moneta facendo debito, ma ora è finita: nulla sarà come prima. Quindi l'invito all'austerità è anche un invito al rigore al rigore morale, a una corretta scala di valori”. Tabacci respinge quindi la “legge del più forte”che domina oggi nel paese: “Da una parte c'è chi vuole tutelare i beni comuni e il benessere dei popoli, dall'altra chi pone il profitto e la produzione al centro dell'azione pubblica e privata. Ma non può essere l'unico riferimento, basta con la regola del più furbo, questo deve essere il dato culturale di riferimento per il futuro”. 

L'intervento di Giuliano Amato (sintesi) 
Quando Di Vittorio lanciò il Piano del lavoro, sessant’anni fa, disse che se il progetto si fosse avviato i lavoratori avrebbero fatto la loro parte di sacrifici. Si potrà anche discutere dei sacrifici di cui la Cgil dovrebbe farsi carico oggi. “Ma quello che mi pare opinabile, quando la situazione si fa davvero difficile, è che gli occhi vengano puntati sul sindacato, e che ci si metta a discutere di mercato del lavoro”. Ha iniziato così, oggi pomeriggio, Giuliano Amato, attaccando un luogo comune – un luogo comune che ha avuto poi conseguenze pesanti per i lavoratori –, il suo intervento alla Conferenza di programma della Cgil, in corso a Roma presso il Palalottomatica. "Come se l’assenza di lavoro che caratterizza l’Italia di oggi – ha proseguito –, fosse figlia delle regole del mercato del lavoro. Le possiamo cambiare tutte da cima a fondo, non cambierebbe nulla”. La realtà, la ragione vera del dramma che in questi anni stiamo vivendo, è un’altra: il gigantesco cambiamento del rapporto tra economia reale e finanza, la scoperta che può essere più conveniente investire nella seconda che nella prima. È un rovesciamento che ha prodotto e produce distruzione di lavoro, e conseguenze, sotto il profilo etico, civile, molto pericolose. È il ritorno del Gatto e la Volpe, che nel Pinocchio di Collodi per far soldi seminano soldi. Un fare negativo: per essere buoni cittadino bisogna andare a scuola e poi lavorare, questo voleva dirci Collodi. Non è più così: la realtà è la finanza che genera finanza, un demone che divora le prospettive di lavoro e si abbatte come uno tsunami sull’economia reale: 600 trilioni di dollari di derivati, una gigantesca ricchezza crescita su un castello di carta, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti". 
Se la crisi ha la sua radice nell’autonomizzarsi della finanza rispetto all’economia reale, nella scoperta che “far soldi con i soldi” può essere più conveniente che investire nella produzione e nel lavoro, come si può invertire la tendenza? Questo il tema che Giuliano Amato ha affrontato nella seconda parte del suo intervento, indicando alla platea del Palattomatica tre direzioni di marcia. La prima dovrà essere l’introduzione di “regole per portare i soldi non verso i soldi, ma verso attività che producono merci e servizi”. La seconda, un modo diverso, in Europa, di gestire la crisi. Finora non si è fatto nulla per “implementare produzione e pil con le maggiori entrate derivanti da una maggiore crescita”. La politica dell’Europa, puntando al risanamento dei bilanci, ha avuto l’unica preoccupazione dell’austerità, non si è posta il problema della crescita. Ma “per fare una politica di crescita abbiamo bisogno di un’Europa federale” ha detto Amato”. “Oggi, invece – ha proseguito –, siamo governati da un congegno intergovernativo. E così possiamo solo pagare i nostri rispettivi debiti, non ci sono strumenti fiscali di livello superiore che permettano di intervenire sulle economie reali”. Terzo punto su cui riflettere – e intervenire –, il ciclo tecnologico. Bisogna sapere che “crescita e innovazione possono anche voler dire meno lavoro. Allora dobbiamo tornare all’idea che dai settori più innovativi e con più entrate si devono trasferire risorse ai settori dove c’è più bisogno di lavoro: ai servizi alla persona e alla famiglia”. “E qui – ha chiarito Amato – il mercato da solo non ce la può fare. Occorre un forte intervento pubblico”. “Se questo panorama ha un senso, abbiamo fatto abbastanza? La colpa è forse del sindacato?”. Ognuno deve assumersi “le sue responsabilità”. Fra gli altri il sistema bancario, che “non è cambiato come si doveva, come ricordava oggi la direttora del Fondo monetario internazionale”. C’è necessità di un ritorno della finanza all’economia reale. E “non si deve aver paura, in questo senso, di un ritorno al passato, ad esempio degli istituti di credito speciale di un tempo”. “È importante quello che la Cgil ha fatto – è la conclusione di Amato –. È importante che l’Italia torni a interrogarsi sul proprio futuro, che si faccia un inventario di cosa serve per far crescere la ricchezza degli italiani”. E tra queste una particolare attenzione andrebbe al lavoro cooperativo. “Al lavoro cooperativo com’era una volta: reti anche piccole di lavoro, per consentire a persone che oggi affrontano la vita da soli, un lavoro solidale. Insomma “sul nostro futuro dobbiamo tornare a investire; non scommettere, come spesso si dice. Ce la fece l’Italia di Di Vittorio, ce la possiamo fare anche adesso”. 

Fabrizio Barca, Ministro della coesione territoriale (sintesi dell'intervento) 
"Rimettere il lavoro buono al centro del disegno di una stagione a lungo mancata di sviluppo, rileggendo crisi e prospettive possibili con il prisma del lavoro; legare lo sviluppo al welfare e all'uso produttivo del patrimonio pubblico e paesaggistico, assumere come fondamentale il modo in cui la spesa pubblica verrà migliorata e qualificata", questi, per Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale, i punti di forza del Piano del lavoro della Cgil presentato oggi nel corso della Conferenza di programma che si sta svolgendo a Roma. 
Il Piano del lavoro e la forte e puntuale relazione di Susanna Camusso dicono cose molto forti sull'idea di ricostruire una visione condivisibile di sviluppo, mentre da almeno 20 anni si assistono a tentativi senza esito di riforme su produttività e coesione sociale". 
In particolare Barca ha apprezzato l'enfasi posa su un'idea di lavoro "vivo", come espressione di libertà dell'individuo nel produrre reddito e realizzare se stesso; due dimensioni, ha detto Barca, entrambe mortificate dalla crisi in atto. Ma la crisi ha messo in forte discussione anche "il lavoro vivo come fonte di innovazione per la produzione di beni e servizi per la collettività e le persone" e pure quello che si nasconde nei nostri "beni paesaggistici, archeologici, culturali, lavoro reso sterile e improduttivo perché in mano a nuovi rentier pubblici e privati". Le idee forti nel piano per rilanciare il lavoro "vivo", per Barca, riguardano "le attività di messa in sicurezza del territorio, degli edifici scolastici - con il ruolo decisivo della Cassa depositi e prestiti; il rilancio e il rinnovamento del welfare; il tema del rilancio dell'economia della conoscenza, con la proposta non più rinviabile dell'elevamento dell'obbligo scolastico a 18 anni. 
"Nelle indicazioni relative alle manovre da realizzare, dubito che dalla riforma fiscale possano venire i 40 miliardi prefigurati nel Piano del lavoro della Cgil". Così ha spiegato Barca, nel suo intervento. Qualche dubbio il ministro lo ha espresso anche rispetto all'incidenza, delineate nel Piano, della creazione diretta di lavoro, perché "c'è il rischio che si possa prefigurare una nuova stagione di lavori socialmente utili. Difficile in pochi mesi mettere in piedi, per il prossimo governo, una creazione di genuini beni e servizi utili davvero per la collettività". Più enfasi, nota Barca, andrebbe invece messa nella creazione di lavoro legata al welfare. 
"Fondamentale prendere più di petto il tema dei temi, in maniera di istruzione. E cioè come fronteggiare il fallimento dello Stato nel porre gli studenti tutti al medesimo punto di partenza. Perché allora non puntare di più sulla valutazione della scuola, non contro ma insieme agli insegnanti, combinandola con i processi autovalutativi interni", ha detto, invitando il sindacato a un "compromesso moderno" sul tema. 
"Perché la qualità delle azioni pubbliche sia di rilievo, la macchina pubblica deve cambiare", ha spiegato ancora il ministro. "Nel Piano del lavoro - ha aggiunto - è giustamente indicato l'obiettivo di completare il processo di privatizzazione del rapporto di lavoro, ma occorre anche combinarlo con autonomia di bilancio e responsabilizzazione della dirigenza pubblica". 

Pier Luigi Bersani, segretario del Pd e candidato alla Presidenza del Consiglio (sintesi dell'intervento) 
Interventi per 50-60 miliardi medi di euro nel triennio 2013-2015 per risollevare l'economia e arrivare a una crescita complessiva dell'occupazione. E' l'obiettivo del "Piano del lavoro, creare lavoro per dare futuro e sviluppo al Paese" messo a punto dalla Cgil e presentato oggi alla Conferenza di programma che ha avuto ospite, il segretario del Pd e candidato alla presidenza del Consiglio, Pier Luigi Bersani.
"Ho sentito la relazione della Camusso, se stiamo all'analisi della crisi e alle sue origini c'e' poco da discutere: siamo d'accordo. Anzi, chiedo: solo noi siamo d'accordo? Dovrebbe essere patrimonio comune il fatto che la crisi ha le radici nello squilibrio nell'economia reale. Ha spiegato il candidato premier. "Il Pd deve cogliere l'elemento profondo di disagio che oggi c'e' nel Paese senza mai cadere nel qualunquismo. Perché il qualunquismo può nascere ovunque, ma e' fascistoide e finisce sempre a destra". E poi ha continuato: “ La politica economica deve avere come obbiettivo l'occupazione. Quando parliamo di lavoro sappiamo bene a quale livello si pone la questione e può essere colta solo a livello di innovazione, ma questa comincia da un concetto che ha un sapore antico", ha sottolineato il segretario del Pd. "Qual e' il senso della politica economica se non la buona occupazione, il lavoro?", ha chiesto. “Il tema del lavoro deve essere al centro della prossima legislatura -continua- ma per arrivare a questo, serve prima una scossa, ci vogliono moralita' e credibilita' delle istituzioni. 
Austerita' e rigore sono la condizione delle politiche economiche, non possono essere l'obbiettivo, la cosa raggiunta la quale tutte le altre cose vanno bene". Bersani ha poi affrontato il tema delle riforme. “Uno dei temi importanti da affrontare nella prossima legislatura è quello della pubblica amministrazione . La "primissima" cosa da fare e', "assieme ai comuni, una immediata revisione del patto di stabilita' interno per fare un grande piano per le piccole opere, sul tema delle scuole, dell'ambiente, della mobilita' e a difesa del territorio. Il giorno dopo, si parte subito con il falso in bilancio e il conflitto di interessi". E poi, ancora: “ L'Italia ha le energie per uscire da questa situazione" di crisi "grazie alla solidarieta'. Ma - sottolinea il candidato premier del centrosinistra - "la prossima legislatura dovra' concentrarsi sulla base produttiva. Tutti i settori vanno rimessi in movimento". E poi, sul tema delle relazioni sindacali. “Bisogna tornare sul tema della regolazione dei servizi, il tema dei consumatori. 
Dobbiamo guardare assieme -ha concluso- il fatto drammatico dell'andamento de costo del lavoro per unità di prodotto e il ristagno della produttività complessiva. dobbiamo trovare una chiave di convergenza tra sindacati, imprese e governo sul tema delle retribuzioni reali e dell'organizzazione del lavoro, su investimenti innovativi ed esigibili. Ognuno ci deve mettere del suo, compreso il governo: e' un tema che si deve affrontare. C'e' poco da fare'.