Art.1

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lunedì 1 aprile 2013

Giovedì 18 aprile 2013 - SILP CGIL partecipa alla manifestazione regionale di CGIL - CISL - UIL



IN GIOCO C’E’ IL PIEMONTE
SANITA’, ASSISTENZA, CASA, TRASPORTI, FORMAZIONE: I PROBLEMI PREMONO, LA GIUNTA NON RISPONDE.

UNA REGIONE IN CRISI. E LE POLITICHE REGIONALI?
Dopo ormai quattro anni durissimi per l’economia piemontese, la situazione della nostra regione è fortemente compromessa, in modo particolare nei territori a forte vocazione manifatturiera.
Il Piemonte è la prima regione del Nord per tasso di disoccupazione e la seconda d’Italia per utilizzo di ammortizzatori sociali. Ciò comporta la pesante erosione del risparmio e la perdita di reddito per molte famiglie, pensionati, donne e giovani.
La disoccupazione e la scomparsa quotidiana di imprese, la crescita vertiginosa delle ore di cassa integrazione, la crisi del commercio e dei consumi, creano difficoltà economiche al limite della sostenibilità e costituiscono un forte pericolo per la tenuta sociale della nostra popolazione. 
Una serie di indicatori economici e sociali testimoniano la crisi in atto. Molti pensionati sono al limite della sopravvivenza, c’è chi si cura di meno, chi non s’iscrive a scuola, aumenta la dispersione scolastica, s’ingrossano le fila delle persone che chiedono aiuto, crollano l’erogazione del credito alle imprese, per il diritto allo studio, gli investimenti in formazione, aumentano gli sfratti.
Al netto delle difficoltà del momento, provocate dalle politiche di rigore, dai tagli lineari e dal patto di stabilità interno che impedisce gli investimenti, constatiamo che la Giunta regionale non esprime proposte programmatiche e progetti, per tentare di affrontare la situazione.
In uno scenario quale l’attuale sarebbe necessario avere una politica regionale autorevole, prefigurare soluzioni, individuare strategie, difendere gli interessi dei più deboli.
Noi non troviamo nella Giunta Cota nessuna di queste volontà. Nei principali settori del welfare, dalla casa ai trasporti, dalla formazione alla sanità fino all’assistenza, ci troviamo di fronte alla sconcertante e pericolosa assenza di prospettive, all’incredibile incapacità di fare sistema e alla carenza di qualsiasi iniziativa della Giunta regionale nei confronti del governo centrale.

PERSONALE REGIONALE? UN FASTIDIOSO ENIGMA DI CUI LIBERARSI.
L'incapacità di scelte politiche e strategiche della Giunta Cota, la mancanza di visione prospettica, il solo governo dell'esistente, si ripercuotono direttamente sulla gestione del personale, vissuto più come un peso di cui liberarsi e sul quale operare ulteriori tagli, piuttosto che un'importante garanzia della qualità democratica e universale dei servizi. Dove sarebbe necessario riqualificazione, formazione, aggiornamento, partecipazione ai bandi europei, innovazione, riscontriamo soltanto un desolante stato di abbandono.
In questi anni i dipendenti della Regione e degli Enti strumentali, delle partecipate e della sanità, sono diminuiti del 10% per effetto del blocco del turn over e della cessazione dei contratti di lavoro precari.
Tutto questo secondo la Giunta presieduta dal governatore Cota non basta, infatti sono annunciati altri 1000 esuberi all’Ente Regione, di cui 200 precari nel 2014, 200 nel 2015 e altri 200 nel 2016, a cui aggiungere ulteriori 2.100 esuberi negli enti strumentali e nelle partecipate.
Inutile affidare il piano di “ristrutturazione” al consulente, che si dice, essere il più pagato della Regione Piemonte, per ridurre i costi nei prossimi 3 anni e non avviare, invece un confronto serio e costruttivo con il sindacato.

SANITA’. LA SOLITA POLITICA DEI DUE TEMPI: PRIMA I TAGLI E POI VEDREMO.
I Servizi Sanitari ed i Servizi Sociali in Piemonte sono nel pieno di una gravissima crisi. In tutta la Regione sono in corso iniziative di associazioni, sindaci, movimenti, forze sociali, sindacali e imprenditoriali che chiedono a gran voce risposte urgenti e condivise ai problemi.
Per contro, le scelte operate dalla Giunta regionale ignorano il contesto sociale nel quale si applicano e sono farcite da eccesso di autoreferenzialità e da un uso discrezionale dei dati di attività, in un quadro di totale assenza di confronto con le rappresentanze sociali e con le istituzioni locali.
Se già la riduzione del finanziamento nazionale alla sanità piemontese è enorme, occorre aggiungere il taglio di 400 milioni della spesa sanitaria che la Regione si è assunta con l'adozione del Piano di Rientro, che ha prodotto dal 2010 a oggi la perdita di circa 2700 unità di personale, compresi medici, infermieri, tecnici, operatori socio sanitari. Le ricette della Giunta regionale per affrontare il problema del debito e del deficit non possono essere condivise.
Un conto è la razionalizzazione della rete ospedaliera integrando i presidi per spendere meglio le risorse pubbliche, migliorandone al contempo il servizio, altro è chiudere o riconvertire diversi ospedali senza garantire a centinaia di pazienti l'essenziale continuità nel percorso assistenziale.
La riorganizzazione di importanti servizi, come la rete regionale dei laboratori di emodinamica, sembra rispondere più a logiche di “favoritismo territoriale” che all'ottenimento di efficienza e qualità per gli utenti e per lo stesso servizio.
Le organizzazioni sindacali hanno sempre sostenuto che alla necessaria riorganizzazione della rete ospedaliera debba, contestualmente, corrispondere, a monte del ricovero ospedaliero, l’istituzione di un numero sufficiente di Centri di Assistenza Primaria (aperti 7 giorni su 7, 24 ore su 24) e a valle un’idonea rete assistenziale per il recupero funzionale dei dimessi dagli ospedali e per i pazienti più fragili.
I fatti dimostrano che la maggior parte di coloro che necessitano di assistenza si affidano alla rete familiare e alla buona sorte, per l’incapacità del sistema, sia pubblico che privato (anch’esso in sofferenza), per far fronte alla domanda di assistenza, mentre i Centri di Assistenza Primaria, previsti dal P.S.S.R., restano poco più che un annuncio.
Ad aggravare la situazione si aggiunge, poi, l'obbligo previsto dalla “spending review”, di ridurre di 1475 i posti letto oggi occupati per post-acuzie, senza che l’amministrazione si stia preoccupando di progettare e realizzare concrete alternative.
I 114 milioni di euro indicati per il 2013 (che al momento non sono inseriti in bilancio), non mettono i Comuni ed i loro Consorzi in grado di sostenere i servizi socio-assistenziali che gestiscono.
Tutto questo non sarà in grado di risolvere i due problemi principali degli ospedali: ricoveri impropri e intasamento delle strutture di emergenza ospedaliera.
La Giunta Regionale riduce, intanto, la propria compartecipazione alla spesa e addossa alle famiglie il costo totale della retta dopo il 60° giorno. La proposta di revisione del modello organizzativo dei servizi domiciliari per i non autosufficienti elimina del tutto la compartecipazione regionale alla spesa del servizio sanitario e limita la corresponsione dell'assegno di cura quasi unicamente alle famiglie a bassissimo reddito.
Resta senza risposte convincenti la richiesta sindacale di approvare una specifica legge e il relativo Fondo Regionale per la non Autosufficienza, dotato di risorse congrue per rispondere alle necessità delle persone che versano temporaneamente o permanentemente in tale condizione.
L'alienazione gestionale del patrimonio immobiliare pubblico indisponibile della sanità (ospedali e luoghi di cura), la cessione a privati di servizi, quali la manutenzione ordinaria e straordinaria, la diagnostica strumentale e la gestione dei Centri Unificati di Prenotazione, vanno nella direzione di indebolire ulteriormente il servizio sanitario pubblico.
La tanto sbandierata istituzione delle cosiddette Federazioni Sovrazonali per gestire la politica degli acquisti, della logistica e dell'informatizzazione e, quindi, per determinare economie di scala, ha, in realtà, prodotto solo costi aggiuntivi per diversi milioni di euro, compresi gli appannaggi dei supermanager.
La Regione Piemonte, negli ultimi anni, attraverso i provvedimenti deliberati dalla Giunta, ha sostanzialmente agito con l'obiettivo di “far cassa” piuttosto che di riformare per rispondere alle nuove esigenze e ai diritti dei cittadini piemontesi.

ASSISTENZA: DAL WELFARE ALLA COMPASSIONE
Il terzo settore sta subendo una fase estremamente difficile a causa del taglio delle risorse per il welfare. In mancanza di definizione degli obbiettivi di servizio, è’ in atto un forte peggioramento delle condizioni, una contrazione dell'offerta pubblica dei comuni e un'offerta di servizi indirizzata quasi esclusivamente alle situazioni di disagio/bisogno estremo.
Gli anziani non autosufficienti, i disabili, i minori e famiglie in difficoltà vedono negate risposte assistenziali immediate, efficienti ed appropriate.
Aumentano le liste di attesa, aumentano le compartecipazioni alla spesa da parte degli utenti, diminuiscono i livelli di prestazioni assistenziali, incidendo negativamente sulla qualità dei servizi.
Aumentano anche i ritardi nei pagamento delle fatture da parte delle ASL, mettendo così a serio rischio le retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori.
Sono seriamente minacciati i posti di lavoro presenti nei servizi esternalizzati.
Diminuiscono le garanzie per lavoratrici e lavoratori in termini di applicazione dei Contratti Nazionali di Lavoro.
Per affrontare adeguatamente la situazione sarebbe necessario:
· riattivare il tavolo regionale dei Livelli Essenziali Assistenziali, per favorire il confronto democratico tra Regione, Istituzioni locali, Organizzazioni Sindacali, Terzo settore, al fine di trovare soluzioni condivise per il rilancio delle Politiche Sociali;
· rilanciare il welfare attraverso livelli di finanziamenti certi e adeguati, stabilendo anche standard di qualità dei servizi erogati.

FORMAZIONE: CRONACA DI UNA CRISI ANNUNCIATA, SENZA IDENTITA’ E SENZA SISTEMA.
Il sistema della formazione in Piemonte attraversa difficoltà gravi e inedite, da addebitarsi, più che alla crisi in atto, ai limiti e alle carenze dell’azione di governo del sistema e del settore della formazione professionale.
L’inadeguatezza dimostrata dalla Regione è sotto gli occhi di tutti: manca una cabina di regia che, in accordo con il sistema dell’istruzione e tenendo conto del mercato del lavoro, sia in grado di rifinalizzare e reindirizzare le energie, aggiornando anche le competenze.
La mancanza di una legge di raccordo tra istruzione e formazione professionale continua a creare una assurda sovrapposizione di interventi e uno spreco di risorse.
Inoltre, il mutare delle condizioni di esercizio della formazione professionale di base sta producendo una crisi del settore e, quindi, degli Enti, che sarebbe miope attribuire soltanto alla cattiva gestione di qualche operatore.
Le procedure di rendicontazione, i tecnicismi amministrativi e contabili costringono le agenzie a indebitarsi con le banche, analogamente alle imprese fornitrici dello Stato. Le Agenzie Formative pagano interessi che non possono essere rendicontati e il peso del debito creato si scarica sull’occupazione del settore.
Mentre la Regione assiste, anzi incoraggia, la proliferazione degli Enti, paradossalmente, si delinea un sistema in cui sopravviverà soltanto chi non ha personale stabilmente contrattualizzato.
E’ saltato il rapporto tra formazione e lavoro, non soltanto per le difficoltà in essere, ma anche perché si sta instillando nel sistema produttivo l’idea dell’inutilità della formazione professionale. Se si considera non importante la formazione professionale per il lavoro e lo sviluppo, prima o poi, fatalmente, essa perderà l’importanza, che dovrebbe rivestire.
Sarebbe, invece, importante che la Regione coinvolgesse i centri per l’impiego, gli EE.LL., i fondi interprofessionali per la formazione continua, per fare in modo che formazione, occupazione e sviluppo non compaiano solo nei convegni, ma si traducano in politiche, capaci di coniugarsi con il valore dell’inclusione sociale della formazione.
Sottolineiamo che l’assenza di politica e progettualità è tanto più grave in un settore in cui la regione ha competenze esclusive.
La scelta di considerare la formazione almeno parzialmente “sacrificabile”, costringerà la regione Piemonte, per mancanza di cofinanziamento, a restituire centinaia di milioni di euro del Fondo Sociale Europeo.
Questa eventualità, di per sé molto grave, renderà difficile anche la negoziazione della nuova programmazione europea 2014–2020. Ai tagli preannunciati del FSE e all’intenzione di trattenere molte risorse nella cabina di regia nazionale, la regione non potrà opporre nulla, se il budget assegnatole nel periodo 2007-2013 non sarà interamente rendicontato.
Il trend negativo degli indicatori dei livelli culturali formativi, che sempre più connotano la popolazione piemontese, non sono un evento casuale, né una sciagura improvvisa.

TRASPORTI: DAI RAMI SECCHI AL TAGLIO DELL’ALBERO
Nel quadro generale della riduzione della spesa pubblica, particolarmente grave appare la situazione del trasporto pubblico, che ha subito riduzioni per complessivi 2 mld e 100 mln di Euro per effetto dei provvedimenti dei Governi Berlusconi e Monti.
Tagli di queste dimensioni, provocheranno una caduta verticale della qualità e della quantità del servizio reso all’utenza e azzereranno gli investimenti per i prossimi anni.
Il Piemonte è una delle regioni più penalizzate dalla riduzione dei trasferimenti dello Stato. Il presidente Cota accettando un taglio di 115 milioni l’anno, ha potuto pagare il servizio dei treni regionali svolto da Trenitalia solo per il primo trimestre, continuando ad accumulare debiti nei confronti delle province e dell’agenzia metropolitana.
L’unica soluzione prospettata dalla Giunta sembra quella di ulteriori riduzioni di linee della rete ferroviaria piemontese, oltre a quelle già soppresse, considerate “secondarie”. Resistono unicamente le linee commerciali, più redditizie, con buona pace dei pendolari.
In questa situazione, sarà probabile che la proprietà delle Ferrovie darà l’adesione alla drastica riduzione del servizio proposto dalla Giunta, stanti i mancati pagamenti delle tratte ancora operative.
Anche il trasporto su gomma è al collasso.
Il credito accumulato dagli enti locali nei confronti della regione ha obbligato province e comuni a pesanti anticipazioni di cassa per assicurare la continuità del servizio e il pagamento degli stipendi ai lavoratori. Le Province dichiarano di non poter più surrogare la regione nei pagamenti verso le aziende di trasporto.
Cominciano a essere annunciate dichiarazioni di esubero di personale, rischiano di saltare i piani di rinnovo del parco pubblico, mentre la manutenzione e la sicurezza del trasporto vengono fortemente compromesse.
In questo quadro è a rischio il diritto stesso al trasporto pubblico, i diritti e le esigenze delle popolazioni più fragili e delle aree territoriali periferiche.
Il Presidente Cota da una parte dichiara che il Fondo Nazionale Trasporti è insufficiente, dall’altra comunica agli enti locali del Piemonte che non aggiungerà un euro a quanto stanziato dallo Stato. Tutti i piani annunciati dall’assessore Bonino si sono rivelati vuote promesse.
Le organizzazioni sindacali chiedono urgentemente alla Regione:
un progetto per l’intero sistema del trasporto pubblico regionale, costruito sulla base di una attenta analisi del territorio e delle modificazioni che questo ha subito negli ultimi anni;
un piano di rientro del debito pregresso verso le province e i comuni, con tempi certi e risorse effettivamente disponibili.
Sono maturi i tempi per la revisione della legge regionale n. 1 del 2000, “Norme in materia di trasporto pubblico locale, in attuazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 “, con l’obiettivo:
1. di determinare, tramite i capitolati di gara, una effettiva aggregazione delle imprese come condizione per partecipare alle gare stesse perseguendo lo scopo di superare l’eccessiva frammentazione del sistema delle imprese, che crea diseconomie e rendite di posizione incompatibili con l’attuale situazione delle finanze regionali;
2. di rendere effettiva ed esigibile la clausola sociale in caso di subentro nella gestione del servizio, prevedendo un fondo regionale per il sostegno al reddito dei lavoratori in caso di crisi aziendale secondo il modello già definito in altre regioni;
3. di avviare una sede permanente di confronto e/o negoziato tra la Regione e le organizzazioni sindacali sui temi generali del trasporto pubblico e in particolare sulla tutela dell’occupazione.

CASA? SFRATTI RECORD: E’ QUASI PIU’ PRECARIA DEL LAVORO!
Tutti i giorni, in particolare nelle grandi aree urbane, numerose famiglie rimangono senza alloggio e senza più alcuna protezione.
La morosità oggi è la principale causa dei provvedimenti di sfratto. Se non si interviene per invertire il trend nei prossimi tre anni saranno interessate altre 250.000 famiglie, oltre alle 150.000 attuali.
Il 70% delle famiglie che vivono in affitto ha un reddito che non supera i 30.000 € lordi l’anno. Le famiglie in affitto hanno redditi più bassi di quelle in proprietà di almeno il 30%. Il capofamiglia è il più delle volte giovane e per il 65% dei casi è nato all’estero.
Lo strumento del fondo sostegno affitti, previsto dalla legge 431/98, utilizzato in questi anni per pagare i canoni ed evitare gli sfratti, è stato quasi azzerato e le restrizioni introdotte alla partecipazione impediscono a molte famiglie piemontesi di utilizzare un aiuto concreto che in questi anni ha evitato numerosi sfratti.
Ai tantissimi giovani con lavoro precario è negata un’abitazione, sia di proprietà che in affitto e di fatto è negato un autonomo progetto di vita.
A fronte di una legislazione nazionale fortemente punitiva, tagli nei trasferimenti, politiche fiscali contraddittorie, sarebbe lecito aspettarsi che il governo regionale avesse una proposta credibile e complessiva per far fronte alla grave situazione locale. Non ne vediamo neppure l’ombra!
Purtroppo le nostre preoccupazioni sul completamento del piano per i 10.000 alloggi entro il 2012 stanno diventando certezza. Guardando la previsione di bilancio della regione, in discussione proprio in questo periodo, riscontriamo che i finanziamenti, anche quelli per completare il 2° biennio, non esistono. Eppure ci sono iniziative che la regione potrebbe assumere:
· censire il patrimonio di case esistenti vuote, esercitando pressioni sui costruttori e sui grandi immobiliaristi affinché li rendano disponibili per la domanda di casa in affitto;
· dare indicazioni ai Comuni affinché le varianti ai piani regolatori prevedano iniziative di edilizia pubblica e/o convenzionata che vadano nella direzione del risparmio energetico, della riqualificazione urbanistica del territorio, utilizzando le aree dismesse;
· estendere gli accordi territoriali previsti dalla legge 431/98 in tutte le province della regione, per consentire la stipula dei contratti concordati;
· chiedere ai Comuni di penalizzando gli alloggi vuoti agendo sulle aliquote IMU;
· istituire, a tutela dei proprietari, un fondo di garanzia che intervenga prima che l’inquilino diventi moroso e subisca lo sfratto;
· utilizzare una parte dei fondi stanziati per costituire, con il supporto delle fondazioni bancarie, un fondo per prestiti a interessi zero per le famiglie in difficoltà temporanea nel pagare l’affitto.
Abitare in una casa dignitosa è per noi elemento centrale dello Stato Sociale, poiché incide sulla salute dei cittadini, dei giovani e degli anziani, sulla condizione delle famiglie, sulla coesione sociale, sui livelli di democrazia reale che le istituzioni devono garantire.